Le Quattro Giornate

Le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) furono un episodio storico di insurrezione popolare
avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale tramite il quale, i civili, con l’apporto di militari fedeli al
cosiddetto Regno del Sud, riuscirono a liberare la città partenopea dall’occupazione delle forze armate tedesche.
L’avvenimento, che valse alla città di Napoli il conferimento della medaglia d’oro al valor militare, consentì alle
forze alleate di trovare al loro arrivo, il 1º ottobre 1943, una città già libera dall’occupazione nazista, grazie al
coraggio e all’eroismo dei suoi abitanti ormai esasperati ed allo stremo per i lunghi anni di guerra. Napoli fu la prima,
tra le grandi città europee, ad insorgere con successo contro l’occupazione nazista[2].
Antefatto storico
Le macerie dei bombardamenti del 1943
Per tutto il primo quadriennio di guerra 1940-1943, Napoli
fu sottoposta a durissimi bombardamenti da parte delle
forze alleate, che causarono ingenti perdite in termini di vite
umane anche tra la popolazione civile. Si calcola che oltre
25.000 furono le vittime di questi attacchi indiscriminati
alla città, per non menzionare i danni ingentissimi al
patrimonio artistico e culturale (il 4 dicembre 1942 fu
semi-distrutta la Basilica di Santa Chiara, mentre solo nel
bombardamento del 4 agosto 1943 perirono oltre 3.000
persone; circa 600 morti e 3.000 feriti si ebbero invece per
lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto, il 28 marzo
1943)[3][4].
Con l’avanzata degli alleati nell’Italia meridionale, gli esponenti dell’antifascismo partenopeo (tra cui Fausto Nicolini
e Adolfo Omodeo), iniziarono a stabilire più stretti contatti con i comandi alleati richiedendo la liberazione della
città.
A partire dall’8 settembre 1943, giorno dell’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile con la lettura alla radio da
parte del Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio del suo famoso “proclama”, le forze armate italiane, come in tutto il
paese, a causa della mancanza di ordini dei comandi militari si trovarono allo sbando anche a Napoli.
In città la situazione, già difficile per i bombardamenti subiti e per lo squilibrio delle forze in campo (oltre 20.000
tedeschi a fronte di soli 5.000 italiani, in tutta la Campania), ben presto divenne caotica per la diserzione di molti alti
ufficiali, incapaci di assumere iniziative se non addirittura conniventi con i nazisti, cui seguì lo sbando delle truppe,
incapaci a loro volta di difendere la popolazione civile dalle angherie tedesche.
In particolare ci fu la fuga, in abiti borghesi, dei Generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, cui era affidata la
responsabilità militare della provincia di Napoli. Gli ultimi atti di Ettore Del Tetto furono proprio la consegna della
città all’esercito tedesco e la stesura di un manifesto che, vietando gli assembramenti, autorizzava i militi a sparare
Quattro giornate di Napoli 3
sulla folla in caso di inadempienza.
Sporadici ma cruenti tentativi di resistenza si ebbero tuttavia alla Caserma Zanzur, alla Caserma dei Carabinieri
Pastrengo ed al 21º Centro di Avvistamento di Castel dell’Ovo.
La città in fermento
Proclama del comando tedesco
Sin dai giorni immediatamente seguenti l’Armistizio di Cassibile,
in città si andarono intensificando gli episodi di intolleranza e di
resistenza verso l’occupante nazista e le azioni armate, più o meno
organizzate, fecero seguito alle manifestazioni studentesche del 1
settembre 1943 in piazza del Plebiscito ed alle prime assemblee
nel Liceo Classico Sannazaro al Vomero.
Il 9 settembre verso le ore 16, in via Foria soldati e agenti di
pubblica sicurezza catturarono una ventina di soldati tedeschi a
bordo di autoblindo. Nazisti e autoblindo saranno liberati più tardi,
per ordine del comando militare italiano. Gli agenti di pubblica
sicurezza verranno addirittura legati alle colonne della caserma
Bianchini per punizione.
Il 9 settembre 1943 alcuni cittadini si scontrarono con le truppe
tedesche al Palazzo dei Telefoni, mettendole in fuga, e in via Santa
Brigida. Quest’ultimo episodio vide coinvolto un carabiniere che
fu costretto a sparare per difendere un negozio dal tentato
saccheggio da parte di alcuni soldati.
Il 10 settembre 1943, tra piazza del Plebiscito e i giardini
sottostanti, avvenne il primo scontro cruento, con i napoletani che
riuscirono ad impedire il transito di alcuni automezzi tedeschi; nei combattimenti morirono 3 marinai e 3 soldati
tedeschi. Gli occupanti ottennero la liberazione di alcuni uomini fatti prigionieri dagli insorti anche grazie
all’ingiunzione di un ufficiale italiano che intimò ai suoi compatrioti la riconsegna degli ostaggi e di tutte le armi. La
rappresaglia per gli scontri di piazza del Plebiscito non tardò ad arrivare: i nazisti, infatti, appiccarono un incendio
alla Biblioteca Nazionale ed aprirono il fuoco sulla folla intervenuta.
Il 12 settembre 1943 furono uccisi decine di militari per le strade della città, mentre circa 4.000 persone tra militari e
civili furono deportate per il “lavoro obbligatorio”.
Lo stato d’assedio
Lo stesso giorno, il colonnello Walter Schöll, assunto il comando delle forze armate occupanti in città, (con il
documento qui allegato in foto) proclamò il coprifuoco e dichiarò lo stato d’assedio con l’ordine di passare per le
armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani
per ogni tedesco eventualmente ucciso.
Seguì altro proclama, apparso sui muri della città, la mattina di lunedì 13 settembre:
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« 1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o
subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del
nascondiglio dell’autore verranno distrutti e ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato
cento volte.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero
vicino.
4. Esiste lo stato d’assedio.
5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le
granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un’arma, verrà immediatamente passato
per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche.
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché
un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente
assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo
civile.
Napoli, 12 settembre 1943 firmato Schöll Colonnello »
Lapide all’ingresso del Palazzo della Borsa che ricorda l’uccisione di
4 marinai e finanzieri, il 12 settembre 43, ad opera di soldati tedeschi
Dopo la fucilazione di 8 prigionieri di guerra avvenuta
in via Cesario Console e gli spari di un carro armato
contro gli studenti (che stavano iniziando a riunirsi
nella vicina Università[5]) e contro alcuni marinai e
finanzieri italiani davanti al palazzo della Borsa[6], vi fu
un episodio che scosse particolarmente il sentimento
popolare: sulle scale della sede centrale dell’Università
avvenne l’esecuzione di un giovane marinaio, cui
migliaia di cittadini furono costretti ad assistere dalle
truppe tedesche che a forza li condussero sul Rettifilo,
la strada antistante il luogo della fucilazione.
500 persone, lo stesso giorno furono parimenti condotte
con la forza a Teverola, nel Casertano, e costrette ad
assistere alla fucilazione di 14 carabinieri, “rei” di aver
resistito con le armi prima di arrendersi all’occupante nazista.
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Le premesse dell’insurrezione
Uno «scugnizzo» armato
Ormai la rabbia e l’esasperazione dei napoletani, in seguito alle esecuzioni
indiscriminate, ai saccheggi, ai rastrellamenti della popolazione civile, alla
miseria e alle distruzioni della guerra che mettevano in ginocchio la città
intera, stava montando spontanea, priva di un fattore esterno organizzativo
che non fosse altro che il desiderio di liberarsi dell’invasore tedesco.
Si cominciò a pensare all’approvvigionamento delle armi: il 22 settembre
gli abitanti del Vomero riuscirono ad impadronirsi di quelle che erano
appartenute alla 107ª Batteria; il 25 settembre 250 moschetti furono
prelevati da una scuola; il 27 settembre caddero nelle mani degli insorti
alcuni depositi di armi e munizioni.
Il 23 settembre intanto, una nuova misura repressiva adottata dal colonnello
Walter Schöll prevedeva lo sgombero (entro le ore 20 dello stesso giorno)
di tutta la fascia costiera cittadina sino ad una distanza di 300 metri dal
mare; in pratica circa 240.000 cittadini furono costretti ad abbandonare in
poche ore le proprie case per consentire la creazione di una “zona militare
di sicurezza” che sembrava preludere alla distruzione del porto.
Quasi contemporaneamente, un manifesto del prefetto intimava la chiamata
al servizio di lavoro obbligatorio per tutti i maschi di età compresa fra i diciotto e i trentatré anni, in pratica una
deportazione forzata nei campi di lavoro in Germania.
Il risultato sperato dai nazisti non fu però ottenuto e alla chiamata risposero soltanto 150 napoletani sui previsti
30.000, il che determinò Walter Schöll a decidere di inviare ronde militari per la città per i rastrellamenti e la
fucilazione immediata degli inadempienti. Fu affisso in città un nuovo proclama del Comando Militare Germanico.
« Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno risposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150
persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone.
Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni
Italiano.
Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono
contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati.
Il Comandante di Napoli, Scholl »
L’insurrezione popolare fu allora inevitabile, i cittadini furono chiamati a scegliere tra la sopravvivenza e la morte o
la deportazione forzata in Germania ed ormai, spontaneamente in ogni punto della città, persone di ogni ceto sociale
e di ogni occupazione, andavano riversandosi nelle strade per organizzarsi ed imbracciare le armi. Si unirono a loro
anche molti dei soldati italiani che solo pochi giorni prima si erano dovuti dare alla macchia. Già dal 26 settembre
una folla disarmata e urlante si scatenò contro i rastrellamenti nazisti, liberando i giovani destinati alla deportazione.
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Le quattro giornate di lotta
Mappa della città con indicati i luoghi dell’insurrezione
27 settembre
Il 27 settembre, dopo un’ampia retata dei tedeschi
che catturarono in vari punti della città circa 8.000
uomini, 400, forse 500 uomini armati aprirono i
combattimenti.
Una delle prime scintille della lotta scoppiò al
quartiere Vomero dove, in località Pagliarone, un
gruppo di persone armate fermò un’automobile
tedesca uccidendo il maresciallo che era alla guida.
Durante l’intera giornata, aspri combattimenti si
susseguirono in diverse zone della città tra gli
insorti e i soldati tedeschi che ormai stavano per
iniziare le operazioni di sgombero, anche per le
notizie (poi rivelatesi false) riguardo ad un
imminente sbarco alleato a Bagnoli.
Un tenente del regio esercito italiano, Enzo
Stimolo, dopo essersi posto a capo di un gruppo di
200 insorti, si distinse particolarmente
nell’operazione di assalto all’armeria del Castel
Sant’Elmo, che cadde soltanto in serata, non senza
spargimento di sangue; i tedeschi infatti,
asserragliati, tra l’altro sia all’interno della Villa
Floridiana sia al Campo Sportivo del Littorio (nel
cuore del Vomero), intervennero in forze a dar battaglia.
Un gruppo di cittadini si diresse nelle stesse ore verso il Bosco di Capodimonte dove, secondo alcune voci che
giravano in città, i tedeschi stavano conducendo a morte alcuni prigionieri. Fu messo a punto un piano per impedire
ad un gruppo di guastatori tedeschi di minare il ponte della Sanità per l’interruzione dei collegamenti con il centro
della città, cosa che fu realizzata con successo il giorno successivo ad opera di un drappello di marinai.
In serata, venivano assaltati e depredati i depositi d’armi delle caserme di via Foria e di via San Giovanni a
Carbonara.
28 settembre
Il 28 settembre, andando ad aumentare con il passare delle ore il numero dei cittadini napoletani che si univano ai
primi combattenti, gli scontri si intensificarono; nel quartiere Materdei una pattuglia tedesca, rifugiatasi in
un’abitazione civile, fu circondata e tenuta sotto assedio per ore, sino all’arrivo dei rinforzi: alla fine 3 Napoletani
persero la vita.
A Porta Capuana un gruppo di 40 uomini si insediò, con fucili e mitragliatori, in una sorta di posto di blocco,
uccidendo 6 soldati nemici e catturandone altri 4, mentre combattimenti si avviarono in altri punti della città come al
Maschio Angioino, al Vasto e a Monteoliveto.
I tedeschi procedettero ad altre retate, questa volta al Vomero, ammassando numerosi prigionieri all’interno del
Campo Sportivo del Littorio, cosa che scatenò la reazione degli uomini di Enzo Stimolo, che diedero l’assalto al
campo sportivo, determinando, dopo aver dovuto fronteggiare un’iniziale reazione armata, la liberazione dei
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prigionieri, il giorno successivo.
29 settembre
Distruzioni in città
Al terzo giorno di feroci scontri per le vie di Napoli,
l’organizzazione dell’insurrezione rimaneva ancora lasciata
ai singoli capipopolo di quartiere, mancando del tutto i
contatti con le forze strutturate dell’antifascismo come il
Fronte Nazionale (diretta emanazione del CLN).
Andavano intanto emergendo figure locali che assunsero il
comando delle operazioni nei vari quartieri della città, come
il Prof. Antonio Tarsia in Curia (Vomero), il T.Col. Ermete
Bonomi (Materdei), il Cap. Carmine Musella (Avvocata),
Carlo Bianco, Med. Aurelio Spoto (Capodimonte), il Cap.
Med. Stefano Fadda (Chiaia), il Cap. Med. Francesco
Cibarelli, Amedeo Manzo, Francesco Bilardo (Duomo), Gennaro Zenga (Corso Garibaldi), il Magg. Francesco
Amicarelli (Piazza Mazzini), il Cap. Mario Orbitello (Montecalvario), il Magg. Salvatore Amato (Museo), il Ten.
Alberto Agresti (Via Caracciolo, Posillipo), Raffaele Viglione (Via Sant’Anastasio) e l’Imp. Tito Murolo (Vasto);
mentre tra i giovani si distinse Adolfo Pansini[7], studente del liceo vomerese Sannazaro.
Nella Piazza Giuseppe Mazzini, presso l’edificio Scolastico “Vincenzo Cuoco”, i tedeschi attaccarono in forze con i
carri armati (i Panzer “Tigre”) e non più di 50 ribelli tentarono strenuamente di opporsi ma dovettero subire il
pesante bilancio di 12 morti e più di 15 feriti.
Anche il quartiere operaio di Ponticelli subì un pesante cannoneggiamento, in seguito al quale le truppe tedesche
procedettero ad eccidi indiscriminati della popolazione penetrando sin dentro le abitazioni civili. Altri combattimenti
si ebbero nei pressi dell’aeroporto di Capodichino e di Piazza Ottocalli, dove morirono 3 avieri italiani.
Nelle stesse ore, presso il quartier generale tedesco al corso Vittorio Emanuele (tra l’altro ripetutamente attaccato
dagli insorti) avvenne la trattativa tra il Col. Walter Schöll e il Ten. Enzo Stimolo per la riconsegna dei prigionieri
del Campo Sportivo del Littorio; Walter Schöll ottenne di aver libero il passaggio per uscire da Napoli, in cambio del
rilascio degli ostaggi che ancora erano prigionieri al campo sportivo. Per la prima volta in Europa i tedeschi
trattavano alla pari con degli insorti civili.
30 settembre
Mentre le truppe tedesche avevano già iniziato lo sgombero della città per il sopraggiungere delle forze
anglo-americane provenienti da Nocera Inferiore, in città il professor Antonio Tarsia in Curia si autoproclamò,
presso il Liceo “Jacopo Sannazaro”, capo dei ribelli assumendo pieni poteri civili e militari ed impartendo, tra l’altro,
precise disposizioni circa l’orario di apertura degli esercizi commerciali e la disciplina.
Tuttavia i combattimenti non cessarono e i cannoni tedeschi che presidiavano le alture di Capodimonte colpirono per
tutta la giornata la zona tra Port’Alba e Materdei. Altri combattimenti si ebbero ancora nella zona di Porta Capuana.
Gli invasori in rotta lasciarono dietro di loro incendi e stragi; clamoroso fu il caso dei fondi dell’Archivio di Stato di
Napoli, che furono dati alle fiamme per ritorsione nella villa Montesano di San Paolo Belsito, dove erano stati
nascosti, con incalcolabili danni al patrimonio storico e artistico, e la perdita degli originali membranacei della
Cancelleria Angioina[8].
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Napoli è libera
Festeggiamenti dopo la liberazione della città
Il 1º ottobre alle 9:30 i primi carri armati alleati entrarono in
città, mentre alla fine della stessa giornata, il comando tedesco
in Italia, per bocca del maresciallo Albert Kesselring,
considerò conclusa la ritirata con successo.
Il bilancio dei tremendi scontri delle “Quattro Giornate di
Napoli” non è concorde nelle cifre; secondo alcuni autori,
nelle settantasei ore di combattimenti, morirono 168 partigiani
e 159 inermi cittadini; secondo la Commissione ministeriale
per il riconoscimento partigiano le vittime furono 155 ma dai
registri del Cimitero di Poggioreale risulterebbero 562 morti.
È da notare che la gran parte dei combattimenti si ebbero
esclusivamente tra italiani e tedeschi. A differenza di altri episodi della Resistenza furono infatti relativamente rari
gli scontri con fascisti italiani, che probabilmente non avevano avuto il tempo di riorganizzarsi efficacemente dopo
l’8 settembre (ricordiamo infatti che la Repubblica Sociale Italiana fu proclamata il 23 settembre, ovvero solo quattro
giorni prima dello scoppio della rivolta).
Facendo un bilancio, oltre l’importantissimo risultato morale e politico dell’insurrezione, le “Quattro Giornate di
Napoli” ebbero senz’altro il merito di impedire che i tedeschi potessero organizzare una resistenza in città o che,
come Adolf Hitler aveva chiesto, Napoli fosse ridotta «in cenere e fango» prima della ritirata. Parimenti fu evitato
che il piano di deportazione di massa organizzato dal Colonnello Schöll avesse successo. La vera ragione per cui non
fu fatta la deportazione di massa era la mancanza di treni merci per deportare tutta la popolazione che a Napoli si
trovava. Nel breve periodo di occupazione tedesca, ci saranno circa 4000 deportati. A ciò si giunse non soltanto
grazie ai 1.589 combattenti ufficialmente riconosciuti, ma anche per la resistenza civile e non violenta di tanti
napoletani, fra cui preti e giovani operaie, «scugnizzi» e professori, medici e vigili del fuoco, «goliardi» e
disoccupati.
Circa un anno dopo, il 22 dicembre del 1944, i generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, che avevano
abbandonato la città nelle mani dei tedeschi all’indomani dell’8 settembre, furono condannati dall’Alta Corte di
Giustizia a 20 anni di reclusione militare[9][10], condanna in seguito ridotta per condoni e provvedimenti di grazia.
Anche l’avvocato Domenico Tilena, che aveva retto la federazione fascista provinciale durante gli scontri, fu
condannato a 6 anni e 8 mesi.
Storiografia
Delle “Quattro Giornate di Napoli” è stata data anche un’interpretazione alternativa a quella corrente, che intende
sottolinearne la natura di «resistenza civile e popolare» e di concreto e nobile esempio di «difesa sociale e non
violenta» (essendo state utilizzate largamente tecniche non violente come: la non-collaborazione, il boicottaggio, il
sabotaggio, il rifiuto della militarizzazione della vita civile e la creazione di organismi paralleli), grazie alle quali
un’intera città seppe liberarsi da sola dal giogo nazista[11].
Quattro giornate di Napoli 9
Monumenti
Iscrizione commemorativa presso la masseria Pagliarone a via Belvedere.
Alla memoria delle “Quattro Giornate di
Napoli”, è stata dedicata l’omonima piazza
Quattro Giornate, nel quartiere Vomero, in
prossimità dello Stadio Arturo Collana, oggi
sede della stazione Quattro Giornate della
Linea 1 della Metropolitana di Napoli, già
teatro della maggior parte degli scontri
dell’insurrezione. Lapidi commemorative si
trovano in via Belvedere (Masseria
Pagliarone), sempre al Vomero, a via Luigi
Sturzo (Masseria Pezzalonga), all’Arenella,
all’ingresso del Palazzo della Borsa, in
Piazza Bovio e in Piazza Nazionale.
Un monumento «allo scugnizzo», figura
simbolo dell’insurrezione, sorge invece alla Riviera di Chiaia, in piazza della Repubblica. Il monumento fu
progettato dallo scultore Marino Mazzacurati nel 1963, e consiste in una statua di pietra che ritrae gli scugnizzi su
ognuno dei quattro lati della scultura.
Le decorazioni
Queste le decorazioni al Valor Militare assegnate nel dopoguerra per l’eroismo della città di Napoli e dei suoi
abitanti:
Medaglia d’oro al valor militare (alla città di Napoli)
Medaglia d’oro al valor militare alla città di Napoli
«Con superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto ed alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le
soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia. Impegnata un’impari lotta col secolare nemico offriva alla
Patria, nelle “Quattro Giornate” di fine settembre 1943, numerosi eletti figli. Col suo glorioso esempio additava a tutti gli Italiani,
la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria[12].»
— Napoli, 27 – 30 settembre 1943
Medaglie d’oro al valor militare (alla memoria)
• Gennaro Capuozzo, detto Gennarino, (12 anni)[13]
• Filippo Illuminato (13 anni)[14]
• Pasquale Formisano (17 anni)[15]
• Mario Menechini (18 anni)[16]
Quattro giornate di Napoli 10
Medaglie d’argento al valor militare
• Giuseppe Maenza (alla memoria)
• Giacomo Lettieri (alla memoria)
• Antonino Tarsia in Curia
• Stefano Fadda
• Ezio Murolo
• Giuseppe Sances
• Francesco Pintore
• Nunzio Castaldo
• Fortunato Licheri
Medaglie di bronzo al valor militare
• Maddalena Cerasuolo, detta Lenuccia[17]
• Domenico Scognamiglio
• Ciro Vasaturo
Le Quattro giornate nel cinema e nella musica
Alla rivolta delle Quattro Giornate sono stati dedicati due film: il primo, ‘O sole mio , girato da
Giacomo Gentilomo nel 1945, appena due anni dopo gli eventi, ed il secondo, intitolato proprio
Le quattro giornate di Napoli, nel 1962, diretto da Nanni Loy e candidato all’Oscar come miglior
film straniero e come miglior sceneggiatura.
L’episodio storico dell’insurrezione napoletana è stato rievocato anche nel finale del film Tutti a casa (1960) di Luigi
Comencini.
Il cantautore Eugenio Bennato ha dedicato all’avvenimento ed in particolar modo alla figura dello “scugnizzo” la
canzone “Canto allo scugnizzo”, contenuta nell’album “Musicanova” del 1978. Canzone poi ripresa nel 1998, dal
gruppo napoletano 24 Grana, col titolo “Scugnizzi” e contenuta nell’album “Loop Live”
Note
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